ECOLOGIA
In questo momento storico sul nostro pianeta è in atto una profonda crisi climatica e siamo coscienti della necessità di agire in fretta per poter invertire i fenomeni in corso ed evitare il collasso ecologico.
Senza cedere al catastrofismo, pensiamo che bisogna rimanere lucidi e riconoscere la gravità e l’irreversibilità di questa emergenza, trattarla come tale.
Sappiamo però che buona parte delle forze politiche e dell’opinione pubblica non hanno chiara questa situazione: spesso, davanti alla complessità del problema, si cade nell’immobilismo.
Il CB vuole quindi creare uno spazio per sensibilizzare la popolazione su questi temi, fare informazione scientifica ma soprattutto proporre, da caso a caso, nel locale e non, delle possibili soluzioni e alternative al sistema dominante, basato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.
Molte altre lotte sono legittime. Ma se questa verrà persa, nessun’altra potrà essere condotta.
Riteniamo che l’attuale sistema produttivo capitalistico sia alla base della devastazione ambientale che sta avvicinando il nostro pianeta a un punto di non ritorno. L’eccessivo sfruttamento di risorse e suolo su cui monetizzare, la produzione di enormi quantità di scarti e la concentrazione di zone di produzione e consumo sono fattori che stanno portando alla distruzione della maggior parte degli ecosistemi presenti sulla Terra.
La colonizzazione occidentale di ogni angolo del mondo, prima militare e poi economica, ha dettato l’imperativo della razionalizzazione e del massimo sfruttamento delle risorse, della privatizzazione dei beni comuni, della produzione unicamente per il mercato.
Questo ha distrutto le economie locali, gli habitat, le strutture sociali e più in generale gli equilibri di molte aree dei cosiddetti paesi del terzo mondo. In nome del profitto si è silenziata ogni voce indigena che reclamasse diritti collettivi sulle terre, ogni scienziato che documentasse l’insostenibilità a lungo termine di questo uso delle risorse, ogni economista che proponesse diverse gestioni dei beni.
Si è quindi imposta diffusamente l’agricoltura industriale finalizzata all’esportazione e l’allevamento intensivo di bestiame, con conseguente inquinamento e impoverimento del terreno.
Questi processi stanno portando ad una sempre maggior cementificazione e desertificazione della Terra, causando squilibri ecologici e diminuendo le capacità degli ecosistemi di assorbire l’inquinamento prodotto dall’uomo.
Le comunità locali di tutto il mondo sono alle prese con progetti di grandi infrastrutture sui loro territori; a volte necessarie e recanti benefici collettivi, più spesso imposte dall’alto, con metodi decisionali incuranti sia delle popolazioni sia dell’impatto ambientale dell’opera.
Seguendo la massima “think global, act local” la nostra riflessione si concentra sui casi italiani, in solidarietà con tutti i movimenti territoriali che lottano in difesa dell’ambiente e del diritto alla vita. In particolare, vivendo in Valle di Susa, la nostra azione si concentra sull’ecomostro TAV, che il governo sta cercando invano di imporre al nostro territorio da quasi 30 anni.
Un progetto che dagli anni ’90 è cambiato innumerevoli volte, a seguito di problematiche ambientali e tecniche di volta in volta sollevate dal movimento NoTAV e dai suoi tecnici, ma spesso così lampanti da essere evidenti a tutti.
Sono stati fatti innumerevoli studi sul TAV, dal punto di vista ambientale, tecnico, economico e sociale. Consigliamo a chiunque fosse interessato di approfondire l’argomento. Ci limitiamo qui a ribadire la nostra totale opposizione a quest’opera in quanto porta con sé innumerevoli danni ambientali (distruzione di falde acquifere, flora e fauna nei territori interessati; enorme emissione di CO2 per tutta la durata dei cantieri e durante la sua attività, per mantenere i sistemi di raffreddamento; problemi legati allo smaltimento dello smarino, materiale di scarto degli scavi; inquinamento acustico, e molti altri), problemi sanitari (gli stessi promotori dell’opera prevedono un incremento delle malattie respiratorie attorno al 10%; inoltre è attestata la presenza di uranio e amianto in alcuni massicci interessati) e problemi sociali (la fortissima opposizione della popolazione locale ha portato a una lacerazione tra tessuto locale e governo nazionale e forze di polizia).
La salvaguardia e la tutela dei Beni Comuni assumono un ruolo centrale per noi del Critical Beer.
La nostra idea degli stessi si rifà alla concezione proposta da Stefano Rodotà, presidente della Commissione sui beni pubblici del 2008. Egli li considerava come beni fuori commercio, poiché considerati per il loro valore d’uso e non per quello di scambio, appartenenti anche alle generazioni future.
Sono beni tangibili, come aria, acqua, terra, boschi, pascoli, strade, università, necessarie allo sviluppo della vita di tutti e tutte. Riteniamo che questi beni vadano sottratti alla logica proprietaria per sostituirla con una dimensione collettiva di fruizione e gestione diretta e di lungo periodo.
In una società che incentiva e avvantaggia lo sfruttamento senza regole di risorse e beni che dovrebbero essere a disposizione dell’umanità – e non del profitto di alcuni – riteniamo che sia fondamentale sensibilizzare le nostre comunità al fine di opporsi ai meccanismi di privatizzazione e mercificazione, e di educare alla comprensione della necessità di salvaguardare tali risorse per il bene della società che verrà.
In Valle di Susa intendiamo il territorio come bene comune e non come merce valutabile solo in termini di mercato; in questo senso sono nate la mobilitazione in difesa dell’acqua pubblica nel 2011, la diffusione del wi-fi gratuito e la difesa dell’ambiente da ecomostri quali le grandi opere.
POLITICA
Tutt* noi ci sentiamo fortemente Valsusini.
Siamo molto legati al nostro territorio, che non è uno spazio neutro ma è modellato dall’attività di chi ci vive, è carico di valori, di memoria, di segni.
La Valle, oltre a essere il posto in cui viviamo, è il posto in cui vogliamo vivere.
Per questo è fondamentale per noi impegnarci attivamente nella nostra comunità, continuando a costruirla assieme attraverso la partecipazione, il confronto con altre realtà, portando avanti pratiche di solidarietà e creando possibilità di incontro.
Ci si prende cura di tutte e di tutti, affinché nessuno rimanga indietro.
Il progetto Critical Beer è nato da un gruppo di giovani e spera di rivolgersi in modo particolare ad altri giovani. Questo per un motivo molto semplice: siamo la prima generazione a subire gli effetti del cambiamento climatico, e anche l’ultima a poter cambiare la rotta.
Non ci interessa la retorica dei “giovani che si danno da fare”, né cerchiamo approvazione e paternalismo. Siamo consci che la lotta al cambiamento climatico ci riguarda in prima persona, perché è in gioco innanzitutto il nostro futuro. Per questo, partendo da ciò che ci tocca da vicino, ci mettiamo in campo nella speranza che la nostra azione possa portare a un cambiamento collettivo.
Cerchiamo di far capire ai nostri coetanei la necessità della partecipazione di tutte e tutti se vogliamo avere qualche possibilità di futuro, specialmente di un futuro più giusto.
Le questioni che trattiamo sono complesse e richiedono approfondimenti e competenze, non aspiriamo chiaramente a esaurirle in due giorni di incontri.
L’evento vuole più che altro essere un punto di partenza per chi vi partecipa, una scintilla che spinga a prendere coscienza del problema, a conoscerne dimensioni e declinazioni e, soprattutto, ad attivarsi per trovare modi nuovi e creativi con cui contribuire alla lotta ecologica.
Per questo, oltre ai diversi incontri, il Critical Beer vuole proporre due giorni alternativi. Fuori dalla quotidiana routine, fuori dalla fretta e dalla superficialità con cui spesso liquidiamo le questioni ambientali, troppo difficili per potersene occupare.
Vogliamo proporre due giornate in cui si sospendano le modalità di relazionarsi, di consumare, di parlare, di ascoltare e di agire a cui il sistema in cui viviamo ci ha abituati. Due giorni in cui ritrovarsi a riflettere e a organizzare nuove pratiche e rivendicazioni ecologiche.
Giudichiamo di primaria importanza l’attuazione di un modello economico circolare – pensato per potersi rigenerare da solo – come alternativa al classico e insostenibile schema lineare basato sull’iper-sfruttamento delle risorse naturali e orientato all’unico obiettivo della massimizzazione dei profitti tramite la riduzione dei costi di produzione.
L’economia circolare si basa su dei pilastri fondamentali, strumenti per affrontare la scarsità di risorse, il deturpamento territoriale, il riscaldamento globale e la gestione dei rifiuti, di seguito elencati:
► Sostenibilità delle risorse: l’utilizzo di energia rinnovabile e di materie prime riutilizzabili, riciclabili o biodegradabili in cicli di vita consecutivi.
► Prodotto come servizio condiviso: sostituzione dei beni materiali con servizi tramite piattaforme di condivisione, con il fine di risparmiare ed utilizzare al meglio le risorse.
► Estensione del ciclo di vita dei beni, riutilizzando e rigenerando i prodotti per evitare spreco di materiali ed energia.
►Recupero e riciclo: creazione di nuovi cicli produttivi, in cui gli scarti non vengono eliminati ma recuperati, riciclati o rigenerati per essere nuovamente utilizzati.
Adottare un approccio circolare significa saper cogliere ogni opportunità di limitare apporti di materia ed energia, minimizzare scarti e perdite, ponendo attenzione alla prevenzione delle esternalità ambientali negative e alla realizzazione di nuovo valore sociale e territoriale.
Riteniamo che l’oppressione delle donne e il dominio sulla natura siano storicamente legati.
La nostra società occidentale ha infatti creato gerarchie ideologiche sia tra gli esseri umani che tra loro e i non umani. Questo sistema pone in cima alla piramide la figura dell’uomo bianco, occidentale, eterosessuale e borghese, discriminando così:
► Le donne, in quanto legate per ragioni storiche e culturali all’etica della cura e alla sfera emozionale.
► Le popolazioni del Terzo Mondo, in passato colonizzate e ancora oggi ritenute inferiori e sfruttate come manodopera a basso prezzo e come mercato per merci occidentali.
► La natura, considerata come oggetto da sfruttare a piacimento in nome del profitto.
Crediamo che il femminismo non agisca per permettere alle donne di accedere al vertice della gerarchia, ma per scardinare l’idea stessa di una gerarchia. Sosteniamo quindi un femminismo che tenga conto di tutte le tipologie di oppressione (genere, classe, “razza”, orientamento sessuale…) senza dimenticare quella esercitata sugli ecosistemi dal nostro sistema produttivo.
Per cambiare i paradigmi dominanti nella nostra società (incluso lo sfruttamento della Terra) è necessario cogliere il collegamento tra tutti i sistemi di dominio che, pur assumendo forme diverse, si rafforzano a vicenda.
Crediamo che i valori dell’antifascismo siano importanti più che mai in questo periodo storico e politico. Rifiutiamo la retorica del conflitto secolare tra due fazioni opposte e l’ottica centrista in cui “gli estremi sono sempre sbagliati”.
Rivendichiamo, invece, l’importanza di quei valori di parte che hanno ispirato i partigiani a salire sulle nostre montagne e che dovrebbero essere intrinsechi nella nostra cultura. Non lo sono, purtroppo.
Durante il dopoguerra, in Italia come in Europa, nessuna forza politica ha permesso di costruire un’elaborazione politica e sociale sul perché i vari fascismi locali abbiano preso potere nelle proprie nazioni e si siano trasformati nelle dittature di destra che hanno caratterizzato il Novecento.
Tutti i partiti se ne sono lavati le mani, banalizzandoli come movimenti creati da folli bramosi di potere e inculcando l’idea che, una volta sconfitto il capo, anche l’idea stessa fosse cancellata.
I risultati di questa visione semplicistica sono oggi evidenti: non solo il fascismo storico e i suoi richiami vengono di nuovo normalizzati, ma crescono i partiti di estrema destra e le loro narrazioni piene d’odio.
Si mettono in discussione diritti acquisiti in lunghi anni di lotte operaie, femministe e antirazziste, mentre le forze politiche cosiddette “democratiche” aprono compromessi a chi struttura il proprio programma politico esclusivamente sull’intolleranza.
Si mistificano un simbolismo e una cultura fatti di violenza e paura verso chi è escluso dalla “nazione”. Si parla quindi di sovranismo (un eufemismo per nazionalismo, termine fortunatamente riconosciuto culturalmente come negativo) e di difesa dei confini, si creano cittadini di serie A e di serie B.
Il vocabolario politico è ormai composto da razzismo, odio per ogni forma di diversità, discriminazione per le classi più deboli, tolleranza zero.
Rivendichiamo, dunque, i valori dell’antifascismo su due piani.
Su un piano istituzionale, nato dalla lotta contro il regime fascista, che ha portato alla creazione della Costituzione e della democrazia in Italia.
Su un piano militante, che porta avanti quei valori che non sono ancora consolidati e che, però, sono alla base di una società giusta per come la immaginiamo: l’uguaglianza, la libertà, la difesa dei più deboli, l’inclusione delle diversità, i diritti universali e la giustizia sociale e climatica.